Cominciamo dalle definizioni. La parola "classica" accanto a "musica" inizia ad essere utilizzata nell'Ottocento: nell'epoca delle grandi classificazioni, in cui tutto il sapere umano doveva essere normato e soprattutto "inquadrato", nasce questa definizione, utile appunto a perimetrare il periodo che all'epoca era visto come quello della perfezione formale nell'ambito musicale. Così, come nelle arti figurative si intendeva per "arte classica" quella degli antichi, greci e romani, perché vista come periodo di massima perfezione e punto di riferimento per le epoche successive, anche nella musica si ritenne che il periodo che andava da Bach a Beethoven fosse il periodo d'oro della musica, degno perciò anch'esso di essere definito "classico". Questa etichetta, col tempo, si estese poi a tutto un genere musicale, in opposizione alla musica definita "pop" o "leggera".
Quando si parla di musica classica a gente che non la conosce, sembra spesso di toccare un argomento quasi scabroso. Quante volte mi è stato chiesto, a proposito della programmazione artistica di Roma Tre Orchestra, se noi facevamo solo musica classica o anche altro (da leggersi col tono di chi lo chiede con animo quasi sgomento e certamente turbato). La mia risposta in questi casi è sempre stato un 'sì' detto senza incertezze, senza vergogna, avendo ben presente che fare musica classica, appunto, non è esattamente come spacciare stupefacenti o vendere armi sul mercato nero.
Ma perché questo? Perché la musica classica è vista come roba da dinosauri? Perché deve sapere di vecchio, noioso, stantio, qualcosa da cui la gente sana dovrebbe guardarsi con molta attenzione? Perché deve apparire come roba da intellettuali saccenti che sotto sotto la disprezzano ma dicono di amarla solo per fare i fichi (ok, ci sono, eccome, anche gli intellettuali saccenti a cui piacere fare i fichi, ma diciamo che sono una minoranza)?
La mia risposta è: per ignoranza. Chi dice questo, semplicemente non sa di cosa parla. Non l'ha mai ascoltata, non ci si è mai avvicinato. A scuola si fa storia dell'arte, ma di musica non si dice niente.
Ovvio, non voglio sembrare naive o, peggio che mai, dare l'impressione di credere alla innata elevatezza di spirito di tutti gli individui. Certamente ci sarà chi, pur ascoltandola partendo dalle cose più semplici continuerà a non apprezzarla, come c'è gente che se gli fai vedere la Cappella Sistina si annoia o altra che non si appassiona a nessuna lettura, nessun film, ecc. C'è gente gretta - non bisogna farsi illusioni - che non capisce niente di niente al di là dei propri bisogni fisiologici primari, ma fortunatamente questa è una minoranza.
C'è una maggioranza di persone invece che, chi più chi meno, comunque apprezza le belle cose, apprezza i quadri di Raffaello e di Van Gogh, quando entra dentro San Pietro - come il filosofo Immanuel Kant - prova il senso del sublime, ama guardare un bel film o andare a vedere una mostra fotografica.
Ecco, nei confronti di tutti questi soggetti la musica classica non può non fare breccia. Perché la musica classica è proprio questo: il sublime in musica. Essa è l'uso del suono nella sua forma più profonda, una successione di sollecitazioni uditive che riesce a toccare nel vivo la nostra anima.
A Roma Tre da anni organizziamo un'attività didattica chiamata Laboratorio di linguaggio musicale. Si tratta di una iniziativa bellissima, che serve proprio a questo: avvicinare persone che prima di allora non erano mai state in una sala da concerto all'ascolto e alla pratica della grande musica. Ed è sempre un piacere scoprire quanti ragazzi, dopo il mero premio in cfu, rimangono in contatto con noi, mantengono una curiosità per la musica classica. Sono questi i casi in cui, come R3O, possiamo dire "mission accomplished": quelli cioè in cui siamo riusciti a instillare questo interesse, questo desiderio di conoscenza.
E arriviamo quindi al confronto, sempre spinoso, con la musica leggera. Musica classica e musica leggera sono sullo stesso piano? No. Sono due forme della stessa arte? Sì e no. Proviamo a spiegarci meglio.
Diciamo che tra musica leggera e musica classica passa la stessa differenza che c'è tra la birra e il vino. Una birra può certamente essere di maggiore o minore qualità. Può essere artigianale, d'abbazia, chiara, scura, ambrata...c'è tanta gente che apprezza più la birra del vino, tanti che bevono addirittura solo questa. Anche a me piace molto la birra e non c'è dubbio che guardando una partita, davanti a un film, certo è meglio bersi una bella birra fresca che stappare una bottiglia di Brunello.
Ma il vino...signore e signori, non scherziamo: il vino è un'altra cosa. Il vino, rosso ovviamente, può arrivare a livelli di perfezione assoluta. Il vino è un'arte, appunto. Il vino può variare in infiniti modi, non ha limiti di prezzo perché non ha limiti di perfezione.
E la musica classica è proprio questo: una forma musicale che ha per limite solo il cielo. Quanto è grande la Nona sinfonia di Beethoven? Non ci sono parole per definirla, ovviamente. Non ha tempo, è sempre esistita, c'era nella nostra coscienza collettiva prima di essere scritta, c'è oggi, ci sarà sempre.
E così torniamo alla domanda che ci siamo posti all'inizio. Si può dedicare tutta una vita alla musica classica? Certamente sì. Perché significa dedicarla a qualcosa di sublime, appunto. A qualcosa che etterno dura, il cui valore è immutabile e immutato nel tempo.
Chi si occupa di musica classica deve certo ricordare che bisogna essere al passo coi tempi: i modi di comunicare devono adeguarsi ai mezzi d'oggi, i canali espressivi di chi scrive, di chi suona, di chi organizza, devono stare nel tempo. Se non vogliamo essere percepiti come dinosauri innanzitutto dobbiamo cominciare col non sembrare noi stessi dinosauri. Ma ecco, se i modi e i canali possono e anzi debbono cambiare, la sostanza non può. La ricerca dell'Arte non può conoscere compromessi.
Se alla fine dei miei giorni San Pietro o chi per lui mi chiederà se ho usato bene il tempo speso sulla Terra, ripenserò con imbarazzo alle giornate passate a fare lavori che non mi interessavano, a studiare libri che non mi hanno dato niente, ripenserò alle serate passate a 20 anni in locali che detestavo ma dove andavo solo per non dispiacere gli amici che mi ci avevano portato...ma certo non rimpiangerò neanche un minuto passato a sentire un concerto, ad una prova di R3O, ad ascoltare un cd sul divano.
In definitiva sì: si può dedicare la propria vita alla musica classica e addirittura esserne felici.