Lei (Her): scene da un futuro possibile

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Lei di Spike Jonze, titolo originale Her, è davvero uno dei migliori film dell'anno, non a caso candidato al premio Oscar come migliore film (sconfitto dal bellissimo Gravity di Alfonso Cuarón) e vincitore della statuetta per la miglior sceneggiatura originale. Il regista è personaggio certamente non comune: a lui si deve il surreale e affascinante Essere John Malkovich (Being John Malkovich), pellicola visionaria e di spiccata originalità (considerato soprattutto che il film è del 1999). Da allora solo un paio di altri film e ora questo Her, caso cinematografico internazionale, vincitore oltre che del già ricordato Oscar per la sceneggiatura, anche di numerosissimi altri premi in tutto il mondo.

La pellicola è certamente notevole, innanzitutto da un punto di vista tecnico. Ci recita un bravissimo Joaqhin Phoenix, la fotografia è splendida, immagini indimenticabili, colori a volte sfumati, delicati, pieni di emozione e sentimento.

Quello che però colpisce di più nel film è la trama, ovvero il rapporto che si instaura tra il protagonista del film e un sistema operativo dotato di intelligenza artificiale, la Her del titolo. Theodore, questo il nome del personaggio principale, è un uomo solo, devastato dalla triste conclusione del suo matrimonio, che nella impossibilità di stabilire relazioni autentiche e profonde con altri esseri umani, trova più semplice legare con Samantha (nome auto-attribuitosi dal sistema operativo al momento dell'accensione).

Il film si offre a diversi livelli di lettura. Il più superficiale è certamente la riflessione sulla dipendenza che ormai tutti noi abbiamo rispetto ai mezzi di comunicazione, agli smartphone ormai presenti in tutti gli ambiti della nostra vita. Quando Theodore cammina per le strade di Los Angeles, si accorge che il "virus" dell'intelligenza artificiale ha ormai contagiato tutti, perché tutti appaiono come monadi chiuse nell'esclusivo dialogo col proprio sistema operativo: una realtà non molto diversa da quella che già viviamo tutti i giorni. Basta salire su una metro per accorgersi di quanto tutti noi siamo fissi e concentrati sugli electronic devices, preferendo questi alla conoscenza del proprio vicino di posto.

Il film ci fa quindi riflettere su quanto queste tecnologie inaridiscano le relazioni umane. All'apparenza dolci e seducenti, possono risultare ingannevoli, perché tendono a chiudere gli individui nel proprio guscio, facendogli perdere la curiosità dell'altro. Così avviene al protagonista del film, che a forza di stare con la sua Her, dimentica il mondo che lo circonda, perde interesse per le persone che gli sono più vicine. E bisogna attendere il silenzio della tecnologia perché Theodore ritrovi la forza, e la gioia, di riavvicinarsi al prossimo.

Tuttavia, a leggere la storia con maggiore spirito critico, le nostre prime intuizioni vacillano. E allora ci domandiamo: ma se fosse proprio questo uno dei futuri possibili per l'umanità? La risposta non può che essere un sì, quella dipinta dal film è una delle sorti che potrebbero attendere l'umanità. Non l'unica ovviamente, ma certamente una di quelle possibili. Lo spunto non è originale di Spike Jonze: già A.I di Spielberg rifletteva sui limiti dell'intelligenza artificiale. Ma ancor di più va ricordato il patrimonio della fantascienza d'autore, di Asimov e Dick, i quali già negli anni '50 riflettevano sui rischi legati al possibile sviluppo della tecnologia. In effetti, nel momento in cui nacque il computer, la macchina si mise inesorabilmente in moto. Il mondo sta viaggiando verso l'intelligenza artificiale: non sappiamo quando e se ci arriverà, ma è sicuro che se gli standard tecnologici continueranno a crescere, quello sarà il futuro. Per certi aspetti si tratta di un percorso segnato il giorno in cui Pascal fece funzionare la prima rudimentale calcolatrice meccanica.

E poi cosa succederà? Non c'è dubbio che nel momento in cui arriverà un sistema operativo dotato di vera intelligenza, saremo di fronte ad un salto evolutivo le cui proporzioni e i cui limiti oggi sono difficili da prevedere.

Tutto sommato non scandalizza che Theodore si "innamori" del suo computer. Quel computer non è più tale, del resto. Nel momento in cui arriveremo ad avere macchine capaci di autocoscienza, avremo soggetti veri e propri in grado di apprendere dai propri errori, menti simili a quelle umane, ma in realtà molto più potenti ed in grado di acquisire conoscenze di tale vastità e profondità che nessun umano sarebbe mai in grado di eguagliare. E dove sarebbe a quel punto il confine tra umano e non umano? Avremmo costruito una macchina che per certi aspetti è Dio, una macchina in grado di acquisire tutta la conoscenza degli umani ma quindi anche di partire da essa per elaborare nuove e più alte forme di sapere. 

Che ne sarà di noi a quel punto? Difficile a dirsi. Non c'è dubbio che potremmo aver creato un essere in grado di sbarazzarsi di noi (vedi Io, robot), sicuramente di controllarci. 

Ci consola però il pensiero che tutto questo forse accadrà, ma forse non accadrà. La Storia non è maestra di vita, come ci insegna Montale, e non ha affatto percorsi lineari. Un altro bellissimo film di fantascienza, di recente produzione, Cloud Atlas, ipotizza per l'umanità un futuro di nuova preistoria. Abbiamo arsenali capaci di distruggere il pianeta in pochi secondi, potrebbe esplodere una nuova influenza spagnola in grado di decimare la popolazione mondiale, potrebbe cadere di nuovo un asteroide, magari più grande di quello di Tunguska, capace di farci fare la fine dei dinosauri. Oppure, più banalmente, basterebbe anche una tempesta solare come quella capitata nel 1859, il cosiddetto evento di Carrington, e tutte le nostre tecnologie sarebbero spazzate via.

Insomma, il nostro futuro è appeso ad un filo, certamente non è scritto in Cielo che ci troveremo mai ad avere al nostro fianco un amico dotato di intelligenza artificiale. Ma se questo un giorno dovesse accadere...chissà, magari potremmo anche innamorarcene.