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Calcio, oppio dei popoli

Scriveva Karl Marx nella Critica della filosofìa hegeliana del diritto pubblico che "la religione è il singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito. È l'oppio dei popoli".

Questa frase, che si apre a diversi profili interpretativi, è stata pensata appunto con riferimento alla religione, ma ai giorni nostri mi sembra si addica molto meglio al calcio, ai calciatori, al pallone e ai tanti pallonari, soprattutto nostrani.

Quello che abbiamo visto ieri sera prima della finale di Coppa Italia è stato, ahimè, solo l'ultimo fenomeno di questa drammatica realtà. 

Il cosiddetto "gioco" del calcio, da parecchio tempo ormai, non ha proprio più nulla della dimensione del gioco. Rimane come luogo di ciclopici interessi economici, che esiste proprio perché esistono masse di persone disposte a tutto pur di seguire la propria "squadra del cuore". Gli italiani più ricchi e fortunati spendono fortune per strapagare viziati ragazzini tatuati dalla testa ai piedi, con capelli acconciati nelle maniere più variopinte e ridicole, invece di trovare modi ben più costruttivi per investire il proprio patrimonio. Il calcio dà visibilità e popolarità: perché investire soldi nella cultura, nella ricerca scientifica, se si può avere la prima pagina dei giornali semplicemente acquistando una squadra di serie A?

Questa critica viene da qualcuno che è pure stato arbitro di calcio, che a 10 anni piangeva perché l'Italia al mondiale era stata eliminata dall'Argentina, che a 18 aveva un poster di Roberto Baggio in camera e che del Divin Codino ha tutt'oggi una maglietta, anche se un po' scolorita. 

La cosa che più avvilisce è il nefasto influsso che questi cafonal-atleti-saltimbanchi del rettangolo di gioco hanno sulle giovani generazioni: ormai è fin troppo frequente trovare ragazzini di neanche 18 anni con la cresta indiana, il primo tatuaggio, la parlata volgare, per il desiderio di assomigliare al proprio rozzo e osceno modello di turno.

Povera Italia: altro che religione, è questo oggi il tuo oppio. Quanti italiani rinunciano a riflettere sulla propria vita, sui propri problemi, sulle sfide che la vita quotidianamente rivolge loro, per rivolgere i propri pensieri e le proprie migliori energie alla squadra di calcio? Si appassionano più alle disavventure dei propri beniamini che a quelle dei parenti. Non tutti, fortunatamente, ragionano così, ma troppi, purtroppo, ci ragionano eccome. Quanta tristezza fa quest'Italia in mano ai pallonari. Quasi non si crede più che un tempo questo era il centro politico e culturale del mondo interno.

Parafrasando Marx, proprio non si può non convenire che il calcio è lo spirito di una condizione priva di spirito. L'oppio dei popoli, per dirla in breve.

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