La triste parabola del Nonno Mario

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Sic transit gloria mundiCosì facilmente si dissolve la gloria terrena: nessun detto calza meglio in riferimento alla vicenda politica vissuta dall'eccellentissimo prof. Mario Monti, che qui chiameremo informalmente Nonno Mario, come lo definì una bambina in una lettera alla Presidenza del Consiglio, con molta modestia fatta pubblicare a suo tempo dallo stesso premier sul sito ufficiale del Governo.

Inizieremo col ripercorrere le fasi della sua scesa in campo: a novembre 2011 il Presidente della Repubblica, di fronte all'imminente crisi del Governo Berlusconi, prende in mano l'iniziativa politica e nomina, a sorpresa, il prof. Mario Monti senatore a vita. Si tratta della prima mossa utile a configurare il nascente governo come un esecutivo super partes,  vero e proprio Governo del Presidente come si disse all'epoca.

Il Nonno, appena insediato, gode del favore pressoché universale della stampa: è l'uomo della Provvidenza, venuto a salvare il Paese dall'abisso in cui l'aveva sprofondato il perfido Silvio. Che abbia carta bianca! E il Nonno indiscutibilmente questa carta se la prende: nell'arco di neanche 20 giorni presenta un decreto che sarebbe poi passato alle cronache come Salva Italia, una manovra di lacrime e sangue che, tra le altre cose, contiene una affrettata e pasticciata riforma delle pensioni, tanto pasticciata da produrre una delle pagine più vergognose della storia politica ed economica italiana, ovvero il fenomeno degli esodati, le persone lasciate senza pensione e senza stipendio, a causa di uno slittamento dei termini di pensionamento fatto senza tenere conto di accordi e scivoli aziendali già sottoscritti tra lavoratori e aziende. Una vera e propria catastrofe sociale, nonostante le commoventi lacrime dell'allora ministra Elsa Fornero.

Qualche critica si leva, ma niente di che, il Nonno gode del favore di tutta la stampa che conta e di tutte le tv, nazionali e internazionali: il Time gli dedica una copertina, neanche i sindacati possono nulla. Qualche mese dopo il Governo emette tra le altre cose, un provvedimento sulle liberalizzazioni. Il Nonno, in occasione del varo del testo, ha addirittura la sfrontatezza di dire che con queste misure l'Italia potrebbe crescere anche del 10%. Si tratta di una frase ben più ridicola del milione di posti di lavoro promesso nel '94 da Berlusconi, una sciocchezza del tutto irrealistica visto che il 2012 per l'Italia si sarebbe chiuso con una crescita del -2,5%, secondo le ultime stime Istat, ma tant'è: anche questa passa in sordina, il Nonno è onnipotente, può dire e fare ciò che vuole.

Tanto onnipotente che a fine anno è tentato dalla scesa diretta nell'agone elettorale. Pensa che il consenso, oceanico, avuto fino a quel momento avrebbe potuto agevolmente trasformarsi in un successo nelle urne. Nel momento in cui si ventila il suo desiderio di partecipare alle elezioni, il centrodestra, presumiamo con notevole sforzo di stomaco e volontà, gli offre addirittura la leadership della coalizione. Nonostante le critiche delle ultime settimane, lo stesso Silvio è pronto a farsi da parte per lasciare al Nonno le redini del centrodestra.

Ma lui non ci sta, non gli basta. Crede che il centrodestra non abbia più alcuno spazio politico reale né un consenso elettorale da "vendere". Vuole andare da solo perché pensa da solo di sbaragliare tutti e si prende come compagni di viaggio solo l'UDC di Casini e, udite udite, il FLI di Fini.

Inizia quindi la campagna elettorale e ahimè le rose sfioriscono subito. Possibilità di vittoria non ci sono proprio, il vecchio Silvio, per quanto offeso, acciaccato e incriminato, sembra incredibilmente riprendersi. Ormai al Nonno rimane solo una speranza: quella di essere il +1 decisivo al Senato al PD per avere la maggioranza.

Però come giocatore di poker non è un granché, fa capire a tutti quale è il suo obiettivo vero e, a questo punto, gli elettori non gli credono più: perché votare per qualcuno fintamente terzo ma che in realtà già si sa dove andrà a parare? Allora meglio votare direttamente per il PD o, se non piace la coalizione, per Grillo o il vecchio Silvio.

Risultato è che l'operazione +1 sfuma totalmente: il Nonno non è decisivo. Al Senato PD e SEL anche con Scelta Civica sono lontanissimi dalla maggioranza assoluta dei seggi. Si tratta di un fiasco colossale: la coalizione di centro alla Camera riesce a malapena a superare il quorum. Si salva una manciata di deputati UDC; FLI viene sepolto da una cascata di detriti.

Ridotto quindi all'impotenza politica, il Nonno si propone come candidato presidente del Senato sperando di giocare nuovamente a fare il super partes: ovviamente non gli crede nessuno. Lo stesso Presidente della Repubblica lo invita a stare al suo posto e a non fare altre sciocchezze, visto che un Governo in carica è bene che ci sia, dato che non ci vorrà poco a formarne uno nuovo.

E veniamo quindi agli ultimi giorni, e alle dimissioni da presidente di Scelta Civica. Solo ieri fa uscire una intervista al Corsera in cui spara una serie di bestialità a tutto campo: se la prende con Mauro e Casini, trattandoli come rantoli della vecchia politica, non ricordando di essere stato lui a scegliersi questi compagni di viaggio. Sostiene addirittura che senza di lui Silvio avrebbe vinto le elezioni e sarebbe diventato Presidente della Repubblica, argomento questo innanzitutto non falsificabile e quindi non scientifico, dato che non avremo mai la controprova di come sarebbero andate le elezioni se Scelta Civica non si fosse presentata. In ogni caso, modestamente, ci viene da dubitare anche di questa interpretazione: siamo così sicuri che nessun elettore di centrosinistra abbia votato Scelta Civica? Non direi proprio. Siamo così sicuri che senza di lui tra le scatole, il PD non avrebbe vinto anche al Senato e non si sarebbe formato quindi il Governo Bersani? E poi, se fosse vero quanto sostiene il Nonno, allora vuol dire che l'errore lo ha commesso a monte: se il centrodestra era così forte, conveniva allearsi con loro e rilevarne la leadership offertagli a suo tempo da Berlusconi, non fargli la guerra.

Mai si è assistito nella storia repubblicana italiana ad un simile patrimonio politico sperperato da una persona sola e in così poco tempo. Un anno fa il Nonno era trattato come un dio: oggi è il profugo di se stesso e del partito che porta il suo nome. Ennesima dimostrazione che si può essere grandi intellettuali, grandi accademici, figure di talento rispettate in Italia e all'estero, ma non per questo bravi politici. La politica è un'altra cosa e il fiasco rischia di essere dietro l'angolo come il Nonno ci ha tristemente dimostrato, anche quando si parte con il vento in poppa, con le fanfare e la grancassa.