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Meno male che Muti c

 

 

Il Teatro dell'Opera di Roma ha proposto in questa stagione 2013-2014 un nuovo allestimento di Manon Lescaut di Puccini, con la direzione di Riccardo Muti. Nel ruolo del titolo, il celebre soprano russo Anna Netrebko.

La prima esecuzione di Manon Lescaut risale al 1892, ed è ricordata come il primo grande successo di Giacomo Puccini. Nella partitura vengono riutilizzati molti spunti musicali tratti da lavori giovanili, come il celebre quartetto Crisantemi per archi, l'Agnus Dei dalla Messa di Gloria, e altre pagine del grande Livornese scritte per sola orchestra. La strumentazione è molto ricca, la scrittura in alcuni punti decisamente wagneriana nelle soluzioni armoniche. Si tratta nel complesso di un capolavoro assoluto, di un'opera ricca di pagine di straordinaria bellezza, complessità ed emozione, che a oltre 100 anni di distanza dalla prima esecuzione non smette di affascinare il pubblico, colpendolo direttamente al cuore.

Anna Netrebko merita pienamente la fama che la circonda. Si tratta di una cantante veramente straordinaria, semplicemente perfetta. Di ottima presenza scenica, possiede una voce potente ma aggraziata, di cui è completamente padrona. Riesce a liberarla in tutta la sua potenza, ma sa anche dosarla in pianissimi sussurrati. Intonazione perfetta, così come la dizione italiana, agilità, solidità assoluta nelle note acute. Il tutto amalgamato da un suono rotondo, pieno. Insomma, non è un caso se oggi la Netrebko sia la regina del Metropolitan: una fama giustamente guadagnata. C'è stato chi addirittura ha scomodato la divina Callas in riferimento a lei. Se questo paragone suscita qualche imbarazzo, perché la greca nata a New York rimane un mito talmente grande che nessun essere vivente può esserle accostato senza un minimo di imbarazzo, pure l'affinità c'è: il suono scuro, emozionante nelle note basse, quel suono che tuttavia riesce a salire, in alto, molto in alto, fino agli acuti più difficili, apparentemente senza fatica, lo avevamo sentito finora soltanto dalla Divina. Oggi lo sentiamo anche con Anna Netrebko.

Buoni tutti gli altri, che pure non possono competere con la Diva. Modesto il Renato Des Grieux di Yusif Eyvazov: duro, ingolato, sgraziato nei movimenti e nel suono. Bravi gli altri, il Geronte di Carlo Leporee soprattutto il Lescaut di Giorgio Caoduro : bella voce e ottima presenza in scena. Adeguata la numerosa pattuglia di comprimari, nei diversi ruoli di Edmondo, del Musico, ecc.

La regia di Chiara Muti, figlia del Maestro, non rimarrà nella memoria e nel cuore del pubblico: molto classica, molto usuale. Alla fine del terzo atto entra in scena, per pochi secondi, proprio alla fine, un galeone, a simboleggiare la partenza di Des Grieux e Manon per l'America. Trovata scenica costosa e roboante quanto insulsa.

Su tutti però, il vero re della serata è stato Riccardo Muti. Come scritto già in occasione dell'Ernani dello scorso dicembre, il Maestro ha ormai cambiato molto il suo approccio: più riflessivo e meditato, sceglie tempi lenti, a volte lentissimi, in contrasto con quello che era lo spirito delle sue letture degli anni '70, '80 e '90. Ne esce una Manon che a volte sembra Mahler, a volte Berg. Una Manon curata in tutti i dettagli, che esalta la scrittura armonica e la tessitura orchestrale. Mai un Intermezzo così bello, così commovente e limpido, mai un Concertato del terzo atto di altrettanta emozione e partecipazione. Muti come l'ultimo Giulini, soppesa, riflette, scorpora i suoni dell'orchestra e li metta in fila, uno vicino all'altro, perché l'ascoltatore possa seguire tutto, cogliere tutto, analizzare la partitura in filigrana, amandola in ogni suo dettaglio. Grazie a Riccardo Muti per avere voluto, ancora una volta, regalare a Roma uno spettacolo ai massimi livelli dell'interpretazione musicale.

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